«È una forma di tortura e di sofferenza, rinchiudere in una gabbia un animale che è nato per volare. Si tratta di costrizioni che sempre più persone avvertono come crudeli. I richiami vivi sono un retaggio di epoche troppo distanti dalla nostra, metodi che vanno abbandonati e consegnati al passato». I volontari di undici associazioni ambientaliste hanno dato vita a un presidio di informazione e di sensibilizzazione, mirato a spiegare quanto sia doloroso, per un uccello, essere condannato a un ergastolo a vita. Non è la prima volta che il mondo del volontariato si unisce, per invitare al rispetto di tutte le forme di vita.
Per dare l’idea del disagio, i volontari si sono chiusi a turno in una gabbia, calando sul viso delle maschere. È stato un modo per comunicare in forma visiva il senso della manifestazione, che si è svolta in termini pacati, offrendo ai passanti l’opportunità di approfondire il tema. In molti si sono fermati ad ascoltare. Accanto ai volontari del gruppo Cittadini consapevoli, che hanno promosso il punto informativo, hanno preso parte i rappresentanti di Beta, Legambiente, Liberi, Anta, L’Impronta, Sos Randagi, Ca-terina, Arkus, Quattro zampe in verde, Lipu. Il fronte ambientalista è notoriamente distante dalle posizioni delle associazioni venatorie. «Nel caso dei richiami vivi - spiegano - il dissenso è condiviso anche da chi non necessariamente è animalista. Si tratta di forme di tortura non necessarie, che si potrebbero evitare».
Associazioni come la Lipu si battono da anni perché si ponga fine all’uso dei piccoli migratori, come i tordi ed i merli, ma anche di altre specie, per attirare uccelli della stessa specie, per abbatterli. Gli ambientalisti contestano l’inganno sotteso a questa pratica, che prevede che gli uccellini siano tenuti al buio per mesi e tirati fuori solo per le battute di caccia. —