Lo avevano sentito piangere. Piano, piano. In mezzo al bosco. Non si riusciva nemmeno a capire dove fosse. Seguendo quel richiamo sottile, sofferente, lo avevano trovato, ed il veterinario aveva scosso la testa. «Non ce la farà».
Quel cane, preso al laccio da un bracconiere, era diventato tutt’uno con la corda. Non si poteva guardarlo, da come era ridotto. Tanto aveva lottato, per tentare di liberarsi, che la trappola gli si era infilata sotto nella carne. Eppure i suoi occhi, grandi, erano dolci e sgranati. Umili, nel chiedere aiuto.
Era successo qualche anno fa. L’aveva raccontato Il Secolo XIX, di quel cane, sopravvissuto poi contro ogni previsione. L’avevano chiamato Corda, in canile. Per ricordare quanto può essere cattivo chi bracca gli animali nel bosco. Non era toccato ad una volpe, ad un cinghiale. Era toccato a lui. Stessa terribile violenza. Sarebbe morto dissanguato, il meticcio con la barba bianca, se non l’avessero trovato.
Nessuno lo aveva cercato, quando era stata pubblicata la sua foto. E nessuno lo aveva adottato. Troppo «normale». Eppure i suoi occhi erano rimasti teneri e fiduciosi. Colmi di affetto. Se l’erano preso a cuore, i volontari. Una carezza per Corda. Un bocconcino per Corda. E se l’erano anche portato ai banchetti, negli ultimi due anni. Perché speravano davvero che potesse trovare una famiglia. Un cane «perfetto», pacato, equilibrato. Adulto, ma non vecchio. E tanto gentile.
L’altra mattina l’hanno trovato morto. Sapevano che le tante sofferenze patite gli avrebbero presentato il conto, e che non c’era niente di più che si potesse fare. Se n’è andato col suo sorriso, Corda. Con lo sguardo buono di chi non concepisce rancore, ma solo riconoscenza. I suoi occhi si erano fatti più maturi, quasi saggi.
Era riuscito a perdonare chi lo aveva fatto soffrire, e a vivere in pace con sé stesso, nel suo piccolo mondo di pochi metri di cella, aspettando le sgambate coi volontari, e quei banchetti in cerca di un padrone che non verrà.